“La semplicità produttiva è uno dei punti di forza del vaccino su cui stiamo lavorando: un aspetto rilevante, legato a una nuova metodologia che è accessibile anche ai paesi meno avanzati tecnologicamente”. Così Guido Grandi, 68 anni, professore ordinario di Microbiologia e Microbiologia Clinica e direttore vicario del Dipartimento di Biologia cellulare computazionale e integrata (Cibio) dell’Università di Trento, definisce il progetto di ricerca della startup senese Biomvis Srl realizzato in collaborazione con il Cibio. "Il nostro obiettivo? Avviare lo sviluppo della produzione entro il 2020, per poter poi iniziare le fasi cliniche".
Professore, il vostro studio è in fase di valutazione preclinica nel registro dell’OMS: ora siete in pole position per la sperimentazione sull’uomo.
Il progetto, interamente italiano, è nato grazie a una partnership tra il Cibio di Trento e la startup Biomvis di Siena, all’interno dell’incubatore senese Fondazione Toscana Life Sciences. Si tratta di uno studio che utilizza una nuova metodologia di ricerca, atta a garantire un’ampia disponibilità di dosi. Credo che questo aspetto sia importante, insieme ai costi di produzione contenuti, vista l’attuale corsa all’accaparramento di dosi vaccinali da parte dei paesi più ricchi. Ormai è diventata una sorta di gara geopolitica, come sottolinea un recente articolo pubblicato su Nature. Noi non siamo ancora alla sperimentazione sull’uomo, ma i risultati sugli animali confermano un’ottima capacità neutralizzante nei confronti di Sars-CoV-2: il nostro obiettivo è avviare lo sviluppo del processo di produzione entro il 2020 per poter poi iniziare la sperimentazione sull’uomo. Ciò però sarà possibile solo se riusciremo ad ottenere un adeguato finanziamento per il quale siamo attualmente in fase interlocutoria.
Come è nato questo progetto?
La ricerca è partita nella primavera scorsa in seguito ad una collaborazione tra Biomvis Srl e l’università di Trento, in particolare con i miei laboratori ed il laboratorio di virologia diretto da Massimo Pizzato, autore di un saggio in vitro che ci ha consentito di verificare se il vaccino da noi disegnato fosse in grado di indurre negli animali immunizzati anticorpi capaci di neutralizzare il virus Sars-CoV-2.
Quali sono i risultati ottenuti?
Possiamo affermare che il siero è in grado di bloccare l’ingresso del virus all’interno delle cellule. Come sappiamo, un virus deve legarsi ai recettori presenti sulla membrana cellulare per poter entrare all’interno della cellula e infettarla. Il virus Sars-CoV-2 riesce a penetrare nella cellula perché si crea un legame tra la proteina Spike che “decora” la sua superficie esterna come una corona, e la proteina ACE2 che funge da “porta d’ingresso” del virus nelle cellule. Si tratta di impedire questo legame tra la proteina Spike e il recettore ACE2. Tutti i vaccini oggi cercano di immunizzare le persone attraverso componenti del virus, in modo da indurre la produzione di anticorpi neutralizzanti.
Quali sono le tecnologie tradizionalmente utilizzate?
Alcuni vaccini contengono l’agente microbico vivo in forma attenuata, come nel caso dei prodotti contro il morbillo o la varicella, mentre altri, come quello oggi usato contro la polio contengono l’agente infettivo in forma inattivata. Altri vaccini, invece, contengono uno o più componenti dell’agente patogeno che quando somministrati tramite vaccinazione stimolano una risposta immunitaria protettiva: è la tecnica usata per esempio per i vaccini antinfluenzali e contro la difterite. Altri vaccini, definiti “glicoconiugati”, sono costituiti dagli zuccheri della capsula che circonda molti batteri patogeni. Tali zuccheri vengono chimicamente coniugati ad una proteina di trasporto per essere meglio riconosciuti dal sistema immunitario. È la metodologia usata per i vaccini contro Haemophilus influenzae di tipo B, i pneumococchi ed alcuni sierotipi di meningococchi.
Quali sono le tecnologie oggi sperimentate contro il coronavirus?
Una tecnica recente, utilizzata anche contro il virus Ebola, è quella dei vaccini basati su vettori adenovirali nei quali viene inserita una porzione del materiale genetico codificante per la proteina Spike di COVID19. Altre tecniche prevedono l’iniezione diretta di RNA o DNA codificanti la proteina Spike del virus. È il caso del vaccino statunitense di Moderna. È il caso del vaccino statunitense di Moderna. L’RNA iniettato nella persona vaccinata porta all’espressione transiente della proteina Spike. In questo modo si producono gli anticorpi che bloccano l’ingresso del virus nella cellula.
Veniamo al vostro vaccino. Qual è la metodologia adottata?
L’obiettivo è sempre quello di indurre la produzione di anticorpi, ma la metodologia è innovativa perché sfrutta la caratteristica posseduta dai batteri gram-negativi di rilasciare porzioni della loro membrana esterna sotto forma di vescicole (OMVs). Noi utilizziamo OMVs di un ceppo di Escherichia coli completamente innocuo per l’uomo. Le vescicole diventano dunque il veicolo nel quale inseriamo frammenti virali. Queste vescicole vengono facilmente purificate dal sopranatante di cultura e direttamente utilizzate come vaccino.
Abbiamo utilizzato le vescicole modificate per immunizzare topi e il risultato è positivo: i roditori hanno sviluppato anticorpi in grado di neutralizzare l’ingresso del virus nelle cellule umane in cultura.
Lei ha una lunga esperienza internazionale nella ricerca sui vaccini. Come valuta la sospensione, e la successiva ripresa, dopo 4 giorni, dei trial clinici del vaccino Oxford-AstraZeneca, dopo una reazione avversa?
Si tratta di una prassi corretta e positiva, bene ha fatto l’azienda a fermare i test. Se emerge un effetto collaterale severo è doveroso che lo studio venga sospeso per poter valutare l’esistenza o meno di un nesso di causa-effetto con la somministrazione del vaccino. In questi studi è prevista la revisione da parte di una commissione esterna formata da esperti indipendenti; se gli esperti ritengono che non vi sia una correlazione con il farmaco, i test possono riprendere. Credo che questo evento avrà un effetto indiretto, stimolando nuove riflessioni sull’attuale velocità di marcia.
Ritiene che sia rischioso accorciare i tempi nella corsa al vaccino anti-Covid-19?
La pandemia può imporre di ridurre quanto possibile i tempi di sviluppo, ma sarà sempre necessario garantire in primo luogo la sicurezza e l’efficacia dei vaccini: le risposte richiedono necessariamente grandi numeri, e questi arrivano solo dopo periodi di sperimentazione adeguati. Quanto alla corsa mondiale, è vero che ci sono 180 progetti candidati ma io ritengo che questo sia positivo: è importante percorrere strade diverse, diversificando le ricerche. Si tratta di una ricchezza che potrebbe tornare utile sia per favorire la disponibilità delle dosi vaccinali, sia per avere più alternative valide a disposizione.
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