Picchiate e uccise da un ex marito, convivente o fidanzato che non voleva farle volare via. Oppure sfregiate nel profondo, indelebilmente. Quanto vale, in questi casi, la vita di una donna? La risposta corre nel tempo: nel 2017 viene stabilito un “indennizzo” di 8.200 euro per il reato di femminicidio, destinato ai figli della vittima. Poi, nel 2019, con un decreto firmato da tre ministri, l’importo è elevato a 60mila; nello stesso anno, viene introdotto il diritto all’indennizzo di 25mila euro anche a chi subisce lesioni permanenti al viso.
Sono stati fatti dei passi avanti, dunque, ma ancora insufficienti a tutelare le vittime di queste inaudite violenze. Ne è convinto il prefetto Marcello Cardona, 64 anni, nuovo Commissario al Ministero dell’Interno per le iniziative in favore delle vittime dei reati di tipo mafioso e violenti. “In questi casi, continuare a parlare di indennizzi predeterminati per legge è limitativo e inadeguato, qui serve una rivoluzione copernicana”, afferma il Commissario che ha alle spalle una lunga carriera al servizio dello Stato, come Questore di Milano e poi a capo della prefettura di Lodi all’inizio della pandemia: fu lui stesso, nel febbraio 2020, poco prima di ammalarsi gravemente di Covid, a decretare la prima zona rossa nel Lodigiano. Con il nuovo incarico romano, ha realizzato una proposta di modifica della normativa attuale che è ora al vaglio del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Raggiungiamo online il Commissario nel suo ufficio al Ministero dell’Interno (si veda la videointervista su Temasalute.it).
Prefetto Cardona, l’anno scorso, in Italia, si sono verificati 122 femminicidi e la Lombardia è in testa con oltre un quinto dei delitti. Con l’emergenza pandemica si registra un costante aumento: ogni due giorni viene uccisa una donna. Come intervenire?
Dobbiamo accendere al più presto un faro. Quando avvengono questi episodi gravissimi se ne parla per qualche giorno sui media, magari utilizzando un linguaggio che parla alla pancia della gente, ma poi tutto torna come prima, come se nulla fosse accaduto. Purtroppo, questa piaga sociale non viene ancora affrontata a livello globale, in modo importante e serio, a partire da piani di prevenzione che devono essere molto ampi: si tratta di distillare fin dalla scuola gocce di comportamento sano e rispettoso nei confronti delle donne. Ci vuole il coraggio di innovare nell’ambito delle tematiche giovanili, e non si può delegare questa materia esclusivamente ai politici. Assumendo la direzione di questa Agenzia, incarico del quale ringrazio la ministra Lamorgese, vorrei mettere un “mattoncino” concreto in questa complessa problematica.
La sua Agenzia ha il compito di supportare le vittime dei reati di mafia e violenti. Dal 2018 sono stati assegnati 81 indennizzi, per un totale di 2,5 milioni di euro, ai familiari di 26 vittime di femminicidio e a 55 donne che hanno subito violenza sessuale.
La struttura commissariale compie l’atto di “ristorare” le vittime di mafia e dal 2016, rispondendo a un richiamo molto forte dell’Europa ci occupiamo anche dei reati violenti e dunque dei femminicidi. Noi compiamo l’ultima parte del percorso dal momento che lo Stato, quando avviene un delitto importante, interviene con ristoro: il legislatore, nell’emanare queste norme, ha ritenuto di intravedere una responsabilità dello Stato che non è riuscito a prevenire l’evento delittuoso. Si tratta di una complessa macchina normativa che oggi abbiamo il dovere di modernizzare anche nella tempistica. Per i ristori di mafia siamo già molto avanti, ma anche lì vi sono margini di miglioramento: per fare solo un esempio, bisogna intervenire in maniera più rapida, al momento della confisca o del sequestro dei beni, individuando nuove modalità per trarre i benefici per i risarcimenti alle vittime. Dobbiamo avere in una visione sociale più ampia, mostrare ai cittadini che chi compie un reato mafioso perde tutto ciò che possiede. Inoltre, c’è una discrasia tra coloro che richiedono ristori per reati di mafia (legge 512/99) e chi richiede ristori per reati violenti, in base alla legge n.122 del 2016 che recepisce una direttiva europea.
Nei reati di mafia viene stabilito un risarcimento con giudizio civile, dopo l’accertamento in sede penale del reato: ogni importo viene valutato in base al caso specifico e se non sbaglio può arrivare anche a 100-200mila euro per i parenti delle vittime, tanto che nel 2020 sono stati erogati 41,3 milioni di euro. Invece, per i crimini domestici, si parla di indennizzi fissi: 60mila euro per gli orfani delle vittime, 25mila per la violenza sessuale, 25mila per il delitto di lesioni permanenti al volto introdotto come fattispecie autonoma dal codice rosso (art. 583- quinquies c.p). Tuttavia è chiaro che un indennizzo non potrà mai competere, per quanto riguarda l’entità della cifra, con alcuni risarcimenti.
Concordo con lei, ma ci troviamo di fronte a impianti giuridici diversi. Il punto fondamentale però è un altro: io credo che nel prendere in considerazione il dramma dei familiari delle vittime, non sia possibile giudicare se un reato è più o meno grave dell’altro. A mio parere non possiamo parlare di “indennizzo” a chi ha subito violenza sessuale o in un femminicidio, ma dobbiamo introdurre il principio del “risarcimento” nei confronti delle vittime, esattamente come avviene per i reati di mafia. Infatti in entrambi i casi lo Stato è da ritenersi “in difetto”, e dal momento che non riesce a intercettare i reati prima che vengano commessi, deve farsi carico dei ristori, ricorrendo alla Consap, che gestisce il Fondo di solidarietà per le vittime: ritengo che questi fondi debbano essere messi a disposizione.
Ci sono tuttavia alcune “anomalie del sistema” che richiedono “urgenti interventi di modifica normativa”, come si legge nell’ultima Relazione del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di mafia e violenti: ad esempio nei delitti di mafia non sono stati posti “limiti ragionevoli” alla platea dei beneficiari dei risarcimenti, alcuni addirittura non conoscevano la vittima o non erano nati al momento del decesso della vittima. Nei reati di femminicidio, invece, il legislatore stabilisce in modo tassativo quali superstiti hanno diritto all’indennizzo, in via di esclusione l’uno dall’altro.
È così, e non vi è dubbio che con la legge 512/99 si è voluto attuare una nuova politica di intervento in favore delle vittime di mafia. Tuttavia, vi sono altre discrasie, rispetto alle vittime di reati violenti: ad esempio, nei delitti di mafia, le vittime non sono obbligate a rivalersi sul patrimonio del reo per chiedere il ristoro, mentre nei reati violenti gli eredi sono tenuti ad avviare un’azione esecutiva nei confronti del patrimonio del soggetto condannato, e questo avviene anche molto tempo dopo che è avvenuto il reato. Per i crimini domestici, con la legge di bilancio 2020, è stata introdotta una deroga, ma indubbiamente questa materia richiede di essere modernizzata.
È in dirittura di arrivo una nuova proposta di legge?
L’Ufficio legislativo della ministra Lamorgese, diretto dal prefetto Riccardo Carpino, sta lavorando con i miei dirigenti per formulare una proposta normativa che preveda la forma del risarcimento alle vittime di femminicidio. Il gruppo dei dirigenti è all’opera affinché il ministro dell’Interno possa portare questa proposta all’attenzione del Governo. Certo, dobbiamo procedere per gradi, si tratta di tematiche importanti e che richiedono molta attenzione, ma bisogna creare fin da subito una corsia preferenziale per i femminicidi: un’emergenza crescente sulla quale dobbiamo intervenire con velocità.
Quali sono le principali criticità da considerare?
Innanzitutto c’è la questione cruciale della prevenzione: perché non vengono denunciati i delitti? Ho analizzato molti casi, nella maggior parte dei quali gli eredi ci chiedono il ristoro, e una domanda mi sorge spontanea: ma tu, sapevi? Tu che oggi chiedi ristoro, che cosa hai fatto quando tua madre ha ricevuto una spinta o uno schiaffo, quando tua sorella, o tua figlia, ti ha detto che il suo compagno le aveva usato violenza? Nessuno ha la ricetta per comprendere il contesto di ogni situazione, tuttavia nel Codice penale, all’articolo 40, c’è un chiaro riferimento al reato omissivo, al non facere. Se vedo un reato di violenza, anche verbale, qualcosa devo fare. È un tema assai complesso, però sono convinto che le cose non nascano mai dal nulla. Questa materia va considerata da una prospettiva più ampia a cominciare dall’istruzione e dalla formazione. Per questo ho chiamato a collaborare con la struttura commissariale due esperti come il professor Luca Bernardo, direttore del Dipartimento Materno-infantile dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano e Paolo Maria Reale, rettore del Convitto Nazionale “Vittorio Emanuele II” di Roma. Le loro competenze saranno di grande aiuto.
Cambierà anche la normativa sui minori orfani delle vittime di femminicidio?
La questione dei minori è delicatissima. Oggi i benefici stabiliti per regolamento sono pari a 300 euro mensili per ciascun bambino dato in affidamento, oltre alle somme stimate già previste per il mantenimento agli studi. In questi casi lo Stato deve fare il padre di famiglia, erogando questo importo, ma non è detto che esso sia sufficiente in tutte le realtà della penisola: ad esempio può andare bene a Cassino, ma non in una città dove il costo della vita è più alto. E io ritengo che il minore offeso, a causa del terribile dramma che ha subito, debba essere seguito anche sotto l’aspetto economico, facendo un’analisi approfondita delle sue necessità. Invece oggi le famiglie affidatarie devono elencare di volta in volta le spese sostenute ogni mese. Credo che anche questi aspetti, così importanti, vadano affrontati rivolgendo una particolare attenzione alle persone che più stanno soffrendo e sono in difficoltà. A maggior ragione in un periodo così difficile come questo.
Ritiene che la pandemia ci imponga una nuova visione?
Senza dubbio, l’attuale emergenza sanitaria ha acuito le disuguaglianze sociali, e inasprito gravi problematiche preesistenti, come appunto i reati contro le donne, ma ora deve lasciarci in eredità un nuovo modo di guardare il mondo. La pandemia di Covid, che io stesso ho esperito in prima persona quando mi sono ammalato in forma grave, deve farci aprire gli occhi di fronte alle tematiche sociali dei più fragili, di chi sta soffrendo maggiormente. Dopo questa tragica esperienza collettiva, è più che mai necessario proteggere le persone deboli, cercando al contempo di prevenire reati gravissimi come i femminicidi. Oggi bisogna adottare un nuovo pragmatismo delle competenze, e agire in fretta con idee e pluralità di opinioni, ma facciamo attenzione a non dimenticare gli ultimi. Dobbiamo guardare a tutti i cittadini e in particolare ai più fragili. È questa, la lezione che dobbiamo imparare.
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