L’antimicrobico-resistenza (AMR) non è una malattia, ma un insuccesso terapeutico e diagnostico il cui impatto sulla società è paragonabile a quello di influenza, tubercolosi e HIV/AIDS insieme.
Epicentro, il portale di epidemiologia per la sanità pubblica a cura dell'Istituto Superiore di Sanità, sulla base di varie pubblicazioni, da tempo evidenzia come solo il 30-50% delle infezioni sia prevenibile attraverso buone pratiche preventive. Se a questo livello la strada per una buona efficienza del sistema è molto battuta ma ancora lunga, ancor più lunga è però quella della ricerca di nuove terapie che riescano ad arginare e limitare questo fenomeno.
Dopo le proiezioni drammatiche che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha fatto sull’impatto futuro dell’AMR indicandola come prima causa di morte nel 2050 (10 milioni di morti/anno) e le conseguenti allarmanti analisi della Banca mondiale dell'economia (impatto sui costi sanitari con aumenti globali entro il 2050 tra 300 miliardi di dollari a oltre 1 trilione di dollari l’anno), sono cresciute molte preoccupazioni su questo futuro scenario. A seguito di ciò i vertici dell'OMS hanno indicato come sia fondamentale tornare a concentrare gli investimenti pubblici e privati sullo sviluppo di antibiotici efficaci che, utilizzati appropriatamente, possano invertire le attuali preoccupanti previsioni. Alcune aziende di settore con senso di responsabilità, hanno dato seguito a questi appelli, ricercando e producendo nuovi antibiotici per sostenere questa sfida.
Ma ora la nuova sfida sarà: come ottenerne un uso appropriato a livello di singolo territorio? “La tematica dell’antibiotico resistenza è diventata negli ultimi anni un problema emergente che necessita una sinergia tra Ente regolatori, Regioni, strutture sanitarie e industria", ha affermato Marco Bosio, Direttore Generale ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, durante l'evento promosso da Motore Sanità (Nuovi modelli di governance ospedaliera per gli antibiotici innovativi". "L’effetto di questo fenomeno in ambito ospedaliero è rilevante, in termini di allungamento di degenza e di costi relativi all’utilizzo di più linee terapeutiche e di farmaci di ultima generazione. Ritengo che l’argomento debba comportare una riflessione generale che inizia dalla informazione e sensibilizzazione degli operatori sanitari nell’utilizzo corretto del farmaco idoneo per l’esigenza specifica del paziente, riservando la possibilità di utilizzare farmaci più recenti e onerosi per problematiche specifiche. L’inserimento di nuove molecole che possono dare veramente un valore aggiunto per la risoluzione o il miglioramento del quadro clinico deve essere preceduto da una valutazione attenta e puntuale non sol sugli aspetti tecnici ma anche di impatto, consentendo la diffusione di tali molecole, in maniera controllata, con un’attenzione alla sostenibilità dell’operazione. Per fare questo la compartecipazione delle Aziende in questo percorso è fondamentale, anche per dare fiducia alla ricerca e premiare quella che fornisce risultati significativi”.
Fondamentale anche il tema del ruolo delle vaccinazioni come presidio indispensabile per la diminuzione della mortalità per malattie infettive, che la recente pandemia COVID-19 ha portato all’attenzione di tutti.
Ne ha parlato Massimo Puoti, Direttore SC Malattie Infettive ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda: “La disponibilità in tempi brevissimi di vaccini efficaci nel ridurre la mortalità per la malattia ne ha modificato il decorso e fino ad ora ha cambiato la patogenesi della malattia, determinando una migliore capacità di difesa dell’ospite e un’evoluzione del virus verso forme molto meno patogene rispetto alla variante wild type responsabile dei primi tragici mesi di epidemia. Nei soggetti con deficit della risposta immunitaria indotto da farmaci immunosoppressivi, quali quelli impiegati in alcune persone con malattie reumatiche, si è potuto osservare che una somministrazione di più dosi di vaccino ad intervalli maggiori di 6 mesi o la somministrazione di anticorpi monoclonali in presenza di una scarsa risposta, anche solo potenziale al vaccino, riesce a pareggiare il conto con la protezione indotta nei soggetti senza immunodeficienza dalle dosi vaccinali standard. Pertanto l’invito per questi pazienti è di effettuare una quarta dose di vaccino possibilmente con mRNA codificante anche per la proteina spike di omicron, 1 se non hanno presentato Covid-19 asintomatico o asintomatico da marzo dello scorso anno. Chi ha avuto un’infezione a partire da marzo può attendere almeno 6 mesi prima di ripetere ulteriori dosi di vaccino. Nulla osta alla somministrazione contemporanea con la vaccinazione antinfluenzale e pneumococcica, le vaccinazioni classicamente consigliate ai soggetti con malattia autoimmuni. Molto importante anche la disponibilità gratuita della vaccinazione anti Herpes zoster, che può prevenire una complicanza estremamente fastidiosa di molte terapie immunosoppressive”.
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